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Il Vinitaly 2018 del mio telefono

Copertina

Fotografando di tutto, mi capita sempre più spesso di ripercorrere la vita attraverso la libreria dello smartphone.

Immagini che appaiono per caso, altre cercate con caparbietà. Tessere di un mosaico confuso che ultimamente stento a far combaciare. Una memoria sempre più malconcia che quei fotogrammi mi aiutano a ravvivare.

Insomma, stavo scorrendo in rapida sequenza gli scatti dell’ultimo Vinitaly e questo è quello che ho salvato. Sento già l’entusiasmo incontenibile dei quattro lettori rimasti.

Lo stand dell’Umbria mi è sembrato più dinamico e vivo del solito. Tanti gli appuntamenti nell’area dedicata e un percorso che fa intravedere nuove consapevolezze. Il sottoscritto ha curato alcuni piccoli assaggi quotidiani, tra cibi e vini delle diverse aree ella regione. La mia posizione è sempre quella: esaltare il tutto attraverso le differenze. #comeinumbria

Ho offerto un bicchiere di vino a Gentiloni, raccontandogli l’anima bianchista dell’Umbria: Orvieto, Todi, il ritorno del trebbiano e la differenza abissale con lo spoletino. Mi è sembrato attento, capace di tenere il ragionamento e con un atteggiamento non troppo istituzionale. Bella impressione, per quel che vale.

Cromatismi (pantone grappolo d’uva) tra il sottoscritto e Teresa Severini per festeggiare i 50 anni della DOC Torgiano. Auguri!

Il Gourmet Errante Pasquale Pace è ovunque, non poteva certo mancare Vinitaly. Ormai proverbiale la sua personale sputacchiera da passeggio.

Moscato d’Asti a colazione? Purchè sia il Vite Vecchia di Ca’ d’Gal! Più accogliente il 2015, delicato e scorrevole il 2014.

Non sono tra gli ultrà dei vini di Corrado Dottori, che ho spesso trovato imprecisi e fuori fuoco. Gli Eremi 2016 di prossima uscita invece mi ha colpito favorevolmente; non vedo l’ora di riassaggiarlo dopo l’imbottigliamento.

Il reimpianto di una porzione di vigna di proprietà trasforma il Barolo Rionda di Giovanni Rosso in Langhe Nebbiolo (2015). Declassamento di classe, ça va sans dire. 

I vini D’Alessandro mai così buoni. E infatti la commissione per la DOC li boccia e la cantina esce dalla denominazione. Va tutto bene…

Sabino Loffredo alias Pietracupa sorretto da un’insensata voglia di equlibrio.

Il restylng delle etichette della Cantina di Cormons è fighissimo.

Il settimo Bordò è fimato dalla cantina Dianetti e si chiama Michelangelo. Rarissimo e costoso come i suoi fratelli, ovviamente.

Facce da Carignano. Viva il Sulcis, compagni.

La scommessa è vinta. Gli spazi Vivit, Fivi, Vinitaly Bio sono ormai realtà importantissime, tra le aree più visitate dell’intera fiera.

Inequivocabili testimonianze del momento d’oro del vino piemontese.

La glaçette più bella è quella di Peppucci. Dentro c’è un bianco che consiglio di tenere sott’occhio: I Rovi 2016 è Grechetto dalle prospettive assai interessanti.

Cellula eversiva Vini d’Italia Gambero Rosso 2019.

Se Giampaolo Tabarrini non ci fosse bisognerebbe inventarlo. Il suo ultimo progetto Piantagrero spacca, a cominciare dalle etichette (che cambiano ogni anno).

Se siete rimasti al lievito, aggiornatevi. E’ arrivata l’aranciata madre!

Io ce la metto tutta ma pare sia proprio impossibile non finire da Sottoriva a bere gli stessi Champagne con le stesse persone.

L’Archivio, The Soda Jerk e non solo. La scena dei cokatail bar veronesi è entusiasmante.

Ciao Leonildo.

 

 

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