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Sanguineto | Nobile ribelle

Sanguineto

“La viticoltura è scolpita addosso a Dora Forsoni. La forza contadina gonfia le vene visibili lungo le braccia; nelle rughe che amplificano le espressioni del volto intuisci ora la fatica ora la gioia di un lavoro non delegato a nessuno e negli occhi, celesti, ai quali non puoi sottrarti riconosci la dignitosa ingenuità e la severa sicurezza che solo il lavoro della terra può infondere.

La viticoltura avvolge Patrizia Brogi. I suoi silenzi eloquenti in ascolto di Dora parlano di consapevolezza ed equilibri raggiunti, la sua precisione nel descrivere il loro lavoro, nella contabilità e negli appuntamenti, raccontano di una professionalità che riempie gli spazi bianchi di Sanguineto.”

Non trovo parole migliori per introdurre la creatura ribelle di Montepulciano. Uso dunque quelle di Fabio Pracchia, rubate da un articolo ispirato uscito su Cook_inc nel novembre del 2015.

Un pezzo che ha riacceso la fiamma. Bevo, nei rari posti in cui li trovo, i vini Sanguineto I e II e ho sempre considerato con entusiasmo l’ipotesi di andare a vedere il luogo e le persone del progetto. Finalmente l’ho fatto. Sbagliando strada due tre volte, come al solito, sono finito in un vecchio casale con le oche, ho visto un Cheyenne (poi ho capito che era Dora), mi sono ritrovato al fresco di una cantina con un bicchiere pieno di vino. Di convenevoli e presentazioni neanche l’odore.

Sanguineto I

Assaggiamo questo – dice il capo indiano arrampicandosi su una botte -. E’ un vino bianco che facevamo per noi, ora un po’ ne vendiamo; lo imbottigliamo sabato così com’è, niente filtrazioni né chiarifiche.”
Che roba è? Mi piace tantissimo. Profuma di sassi, terra mossa e fiori di primavera. Quelli spontanei, con il gambo, le foglie e tutto il resto. E poi  buccia e semi di limone, a far vibrare il sorso facile ma affatto lieve, caldo, materico e salmastro.
“Due tipi di malvasia, grechetto, trebbiano e biancame. La vigna è quella in alto”, mi dice l’indiano accendendo l’ennesimo calumet.
Come in alto? Non si mettono le uve nere in alto?
“In passato quei frutti finivano nei vini rossi, dunque le vigne sono state piantate lassù per farle maturare bene e raggiungere un buon grado alcolico.” Ah.

Il mio bicchiere è pieno e mi spavento. Ma quanto vino mi ha dato questa? Mi giro e Dora riempie anche il suo: “Andiamo a fare una passeggiata, forza.”

L’allevamento delle viti è curioso. Il tronco viene tagliato alla base, così le radici invecchiano ma la pianta si rinnova di continuo. “Uso la motosega, che credi?”, dice Dora scoppiando nella sua risata strana, irrefrenabile e contagiosa, mentre la guardo rapito dritto negli occhi spiritati.

Sanguineto II

Parliamo di tutto. Di quanto sono verdi le foglie delle sue viti, più scure rispetto alle altre, e di come si rifiuti di tagliarle (perché sono loro i polmoni delle piante); dei terreni e dei sassi, delle querce ombreggianti, del rapporto con suo padre, che ha comprato la terra indebitandosi fino al collo, e delle sue origini umbre; di quanto ami cacciare e delle sue prede, cinghiali in testa (mi mostra orgogliosa le foto), che le sono valse la presidenza del circolo venatorio della zona. Il bicchiere che sembrava troppo pieno non basta. Restiamo a secco per un bel po’, fin quando torniamo in cantina.

Comincia l’assaggio dalle bottiglie. Patrizia stappa i vini e si unisce a noi. Tra tutti, Nobile ‘12 e Riserva ’11 compresa, incarto e porto a casa il ricordo di un Rosso di Montepulciano 2014 sublime. Uno di quei vini che, chissà come, riescono a unire sapore e leggerezza, complessità e immediatezza, piccole increspature e armonia d’insieme. Lo senti che è vero e senza trucco. Ma non ne ha bisogno e non farebbe storcere il naso a nessuno.

Sanguineto III
Beviamo e chiacchieriamo. La storia dell’azienda, gli inizi, la fatica, le notti di luna piena sul trattore, il vino che finisce subito e non basta mai. Il rapporto di Dora col padre e con i suoi otto fratelli. “Aveva capito che mi sarei occupata io della terra e mi metteva alla prova. Ma era incazzato perché non sono un maschio.” E giù con quella risata.

Finiamo col Vin Santo 1999 e i peli dritti. “Ho un grande rammarico – si fa seria Dora – quello di non aver fatto assaggiare questo vino a mio padre. Quando avrei voluto era troppo tardi.”

Non importa, amica Cheyenne. Non c’è vino al mondo che valga un’energia tanto grande e positiva come quella che sprigioni. Tuo padre sarà entusiasta.

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