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Barolo Monprivato, croce e delizia

Ogni enoappassionato che si rispetti ha in testa una serie di vini con cui coltiva un rapporto quasi di “odio e amore”. Denominazioni, vitigni, annate, produttori, singole bottiglie da cui ci si sente fatalmente attratti, spesso senza essere ricambiati. Ci si identifica davvero in quegli innamorati che vedono la donna o l’uomo dei suoi sogni concedersi a tutti meno che a lui o lei. O nel migliore dei casi regalare pochi e sfuggenti attimi di gioia tra un capriccio e un altro.

Come detto ciascuno ha la sua rosa di etichette ovidianamente pensate, ma ce ne sono alcune che turbano i desideri di intere comunità di bevitori. Uno dei primi nomi che vengono in mente in questa prospettiva, giocosa ma non troppo, è sicuramente il Barolo Monprivato prodotto dalla famiglia Mascarello, Giuseppe e Figlio (oggi in realtà è Mauro, col figlio Giuseppe). Un nebbiolo per molti versi unico nel panorama di Langa, figlio di un cru storico collocato nel cuore delle colline di Castiglione Falletto, nella porzione di origine elveziana in pieno sud, non a caso inserito da Renato Ratti nel ristretto gruppo degli undici vigneti di prima categoria della zona del Barolo. Un “quasi monopole” imbottigliato ad oggi soltanto dalla cantina di Monchiero (fino al 1990 era vinificato anche dalla famiglia Brovia), proposto in commercio dopo macerazioni di circa 40 giorni e un lungo affinamento in rovere di Slavonia da 20 a 90 ettolitri. La prima annata targata Mascarello fu la 1970 e dopo oltre 40 anni il Monprivato è uno dei simboli costantemente evocati della “tradizione” di Langa, probabilmente il Barolo che meglio incarna nelle migliori versioni concetti come trasparenza, luminosità, finezza. Anche visivamente, dato che l’ormai inconsueta presenza delle varietà di nebbiolo michèt e rosé concorrono ad un rubino talvolta decisamente scarico.
Il Monprivato è croce e delizia per tanti amici e compagni di bevute. Croce perché presenta una variabilità di “prestazione” per la mia esperienza superiore alla media, anche sulla stessa etichetta della stessa annata, specialmente in alcune vendemmie sulla carta importanti come 1999, 2001 o 2004. Delizia perché quando capita la bottiglia giusta il godimento è totale: golosità di frutto e “potenza senza peso” da grande Borgogna, fibra ossuta ma non efebica, capace di svelare una forza insospettabile. Il Monprivato al top è il vecchio pescatore tutto nervi con fisico da keniano, pelle scavata dal sole e dalla salsedine, che batte a braccio di ferro in pochi secondi il body builder che alza 150 chili di panca piana.
Non se ne riesce a fare a meno, insomma, nonostante il significativo repertorio di bottiglie non all’altezza, tra l’altro per motivi spesso diversi: vini che presentano sentori di tappo (o lo fanno pensare), altri segnati da pesanti riduzioni, altri ancora invecchiati precocemente. Un minus di affidabilità e costanza ampiamente compensato, come detto, dalle aperture più felici. E’ il caso dell’ultima verticale a tema organizzata con la cellula emiliano-romagnola al Ristorante Nuova Roma di Sasso Marconi (caldamente consigliato). Una retrospettiva piuttosto profonda, arricchita da qualche splendido “fuori programma”, rivelatasi per molti versi superiore alle già elevate aspettative. Ecco qualche impressione sintetica sui vini stappati.

Barolo Monprivato 2009
Alla vista potrebbe essere scambiato tranquillamente per un rosato, tanto la tinta è scarica e trasparente. Preludio di un naso tutto frutto, melograno in primis, con un’impronta calda e quasi “grenachosa” a farsi sentire maggiormente nello sviluppo. Sottile, asciutto, essenziale, forse troppo: isolata dal contesto è una signora bottiglia, specie se parametrata alla difficile annata 2009, ma i fratelli maggiori ricordano immediatamente che il Monprivato può esprimersi su ben altri livelli di complessità e tessitura. 86/100

Barolo Monprivato 2006

Probabilmente il miglior Monprivato degli anni 2000, il più affidabile sul fronte “variabilità” e il più prospettico. Acqua di rose, petali, lampone, tanti toni giovanili approfonditi dalle erbe officinali, il pepe rosa, netti richiami di ferrochina. Mobile, ampio, cangiante, la bocca è ancora comprensibilmente contratta, ma i tannini solitamente feroci dei 2006 sono qui carezze. La grana è stupenda, lo scheletro magistralmente definito, con l’affinamento potrà aggiungere ulteriore sapidità e diventare assoluto. 92/100+
Barolo Monprivato 2005
Ecco il primo Monprivato aromaticamente capriccioso della verticale: partenza cupa e quasi animale, fa fatica a liberare il solito frutto goloso e le stratificazioni delle versioni più brillanti. Limiti bilanciati dal fascino e da una bocca senz’altro più convincente, giocata sulla tensione acida più che sul volume e la finezza tannica. In un’ipotetica orizzontale a tema Langa 2005 si piazzerebbe probabilmente in alto, nel confronto “interno” sconta qualcosa. 89/100
Barolo Monprivato 2004
Di gran lunga la migliore bottiglia di 2004 incontrata finora, tra una decina stappate dalla sua uscita sul mercato ad oggi, alcune delle quali pesantemente condizionate da sentori funginei, animali o, più spesso, da strane sensazioni che ricordano il limone spremuto lasciato a lungo in frigorifero. Anche in questo caso c’è l’agrume chiaro in primo piano, ma è una traccia meno invadente, che si combina a suggestioni di mela acerba, erba falciata, risotto alla milanese.
In un bicchiere nero sarebbe scambiato nove volte su dieci per un vino bianco nordico, tutto scheletro, acidità e un pizzico di botryte: la struttura è leggera, il tannino già completamente risolto. Una “diversità” che può anche conquistare, io sono più tiepido, anche perché non ho proprio idea di quello che potrebbe diventare nel tempo. 88/100
Barolo Monprivato 1999
E’ l’annata, insieme alla 2001, che probabilmente ha fatto registrare la maggiore percentuale di bottiglie “sottoperformanti”, come si dice in questi casi. Stavolta è un’ossidazione precoce a renderlo praticamente ingiudicabile.

Barolo Monprivato 1998
Sicuramente una delle belle sorprese della retrospettiva. Un millesimo che non amo di solito per la difficoltà con cui si armonizzano le tracce calde e al tempo stesso immature dell’annata. In questo caso c’è solo qualche tocco evolutivo di glutammato ed erbe secche, per il resto è un Barolo estremamente serio e classico, che sa trovare contrappunti nella china e nel pepe bianco conservando un frutto vitale di ciliegia e bergamotto. Il fisico è da peso medio asciutto e proporzionato, ben condito dagli apporti salmastri, con ottimo allungo finale nonostante il tannino appena crudo. 90/100
Barolo Monprivato 1996
Non so dire se ci è capitata una bottiglia non completamente fortunata o se il vino è entrato in una fase “involutiva” rispetto al fantastico ricordo di qualche anno fa. Fatto sta che questo Monprivato ’96 si è espresso su toni un po’ crepuscolari, tra castagna infornata e tartufo nero, goudron e terra mossa, con colorazioni aromatiche sicuramente meno chiare ed ariose del solito.
La bocca racconta una storia un po’ diversa, più in linea con le aspettative: quella di un nebbiolo indomito, robusto, saporito, forse solo un po’ algido come capita con tanti pari annata. Quello che manca in piacevolezza lo si recupera in persistenza e nel complesso resta comunque una versione di riferimento. 91/100

Barolo Monprivato 1990
Tra le “grandi” annata di Langa, la 1990 è sicuramente quella che ha generato più perplessità rispetto alle sue capacità evolutive. Molti vini, superblasonati inclusi, sono in fase calante già da più di un lustro, e nove volte su dieci il confronto ravvicinato con i rispettivi ’89 è impietoso. Premesse che impreziosiscono ulteriormente la prova semplicemente fantastica di quello che è probabilmente il migliore Barolo del millesimo, tenendo conto anche di un Monfortino “solo” buono e di Etichette Rosse di Giacosa che si concedono al loro massimo solo in bottiglie maniacalmente conservate.
Gelatina di frutti rossi, alloro, salsedine, mandarino cinese, agrumi canditi, arbusti mediterranei, grafite, noce moscata, anche chi non ama le lenzuolate di descrittori non può fare a meno di rendere omaggio ad una così variopinta ed incessante stratificazione aromatica. In bocca è goduria purissima: c’è succo, sapore piccante, larghezza e lunghezza, tannino di fustagno che sembra ulteriormente allungare il sorso, piacere e spensieratezza per tutti i sensi. 95/100

Barolo Monprivato 1989
Lo magnificenza del ’90 è oltretutto rafforzata dalla ravvicinata compagnia del fuoriclasse assoluto, non solo della retrospettiva. Monprivato ’89 è uno dei più grandi rossi mai fatti in Italia, senza tante chiacchiere: più chiuso inizialmente e comprensibilmente più austero del fratello minore, è un vino “totale”, capace incrociare ogni registro e dimensione. Frutto chiaro di integrità imbarazzante, gioco di radici ed erbe, profondità speziata e minerale da premier cru di Bordeaux e mostri sacri di Borgogna. Il sorso è attraversato da una scia spettacolare di acidità agrumatissima e saporosa, il tannino è un velluto che pare chiamato ad aggiungere altri sette strati di lunghezza. Continua a crescere e cambiare nel bicchiere per ore, ha energie e dotazioni per viaggiare ancora decenni. Indimenticabile. 97/100
Barolo Monprivato 1974
Salto di tre lustri, finestra che ha generato altri Monprivato memorabili come l’85 (guerriero), l’82 (villano) o il ’78 (accaldato). La ’74 è un’annata sicuramente meno reputata in Langa, ma è una fama che pare smentita in una versione sorprendente per integrità e gourmandise. Al naso dimostra almeno una decennio di meno, la terziarizzazione di tabacco ed erbe secche c’è ma non arrivano mai derive brodose. La grana del tannino non è quella delle vendemmie perfette, ma il centro bocca è pieno e sostenuto, a confermare l’impressione di un’allegra maturità. 92/100
Barolo Monprivato 1971
La “delusione” in questo caso è dovuta più al ricordo dell’unica stappatura precedente (in verità da magnum), un Monprivato ’71 in quell’occasione stupendo per forza, riconoscibilità e carattere. Questa è una bottiglia decisamente più evoluta, aromaticamente autunnale e non precisissima nemmeno sul piano gustativo. Presa da sola, probabilmente sarebbe stata apprezzata di più, ma al di là dei confronti qui si era oltre l’apice.
I “fuori programma”
Champagne Fleur de Passion Brut 2005 – Diebolt-Vallois
Non costa due lire, siamo d’accordo, ma non è una forzatura pensare al Fleur  de Passion di Diebolt-Vallois come ad uno dei migliori Champagne in assoluto per rapporto qualità/prezzo. Il fatto è che in diverse versioni può sedersi senza alcun complesso di inferiorità allo stesso tavolo di cru e riserve mitiche che costano tanto di più. Nell’ultimo periodo è capitato di stapparne un bel po’ e questo 2005 aggiunge un nuovo felice tassello: più grasso e meno profondo dello strepitoso 2002, conserva comunque dinamismo e misura, giocando su atmosfere fresche e luminose.
Barbaresco 1974 – Gaja
E’ appena più avanti del Monprivato pari annata, ma il Barbaresco ’74 di Gaja è un signor vino. Più chiaro, sottile e verticale, compensa il minus di spalla con le vibrazioni agrumate, risultando inquieto e corroborante.

Barolo Vigna Rionda 1979 – Mascarello Giuseppe e figlio
Da un punto di vista “documentale” è forse la bottiglia della giornata. L’unica annata in cui la famiglia Mascarello ha imbottigliato il cru Vigna Rionda di Serralunga d’Alba. Leggenda narra che in quella difficile vendemmia ’79 Tommaso Canale (venditore) e Bruno Giacosa (compratore) non trovarono l’accordo sul prezzo di quello che per tanti anni è stato il mitico Collina Rionda.
In seconda battuta subentrarono i Mascarello ed eccolo qui, questo one shot ancora oggi vigoroso e carnale: ginseng, erbe di fiume, tocchi pregevolmente “fangosi”, il naso è davvero divertente, oltretutto così diverso dalle atmosfere incontrate costantemente nel Monprivato. La bocca ha qualche limite in più: tendenzialmente magra ed asciutta, mostra i segni del tempo soprattutto nel finale, ma il fascino è innegabile, il sorso funziona e non è certo perversione enoarcheologica o necrofilia goderselo pienamente a tavola.

Barbaresco Santo Stefano 1975 – Castello di Neive
Se tutti i “fuori programma” fossero come questi, ben vengano tutte le deviazioni sul tema. Della “piccola annata”, come è universalmente considerata la ’75 in Langa, ha poco o nulla: molto integro, intrigante e succoso, spazia dal mirtillo al tabacco, con suggestioni resinose e boscose di grande appeal. La bocca è perfino più spensierata e goduriosa, alimentata da una bella scia acido-sapida, accorciata solo dal tannino un po’ erbaceo. Per tre quarti è un gran nebbiolo sul serio.

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