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[Podcast e fotoreport] | L’Alchemist di Copenaghen

Copertina

«Una cosa divertente che non farò mai più: qualche settimana fa sono stato all’Alchemist, uno dei ristoranti più incredibili del mondo». (Antonio Boco, gourmet estremo)

Un’esperienza straordinaria sotto ogni punti di vista, che meritava per noi di essere raccontata con tutti i mezzi a disposizione. Ecco allora il primo approfondimento multiplo della storia recente del nostro magazine, della serie “apri uno e trovi due”: in questo caso sia la seconda puntata del nuovo Podcast di Tipicamente, interamente dedicata all’audio-cronaca del viaggio danese (con l’amichevole partecipazione dell’Ispettore Palma), sia il reportage fotografico, completo di appunti ed impressioni, della cena di Antonio all’Alchemist di Copenaghen. Non ci resta dunque che augurarvi buona lettura e buon ascolto!

Ascolta “E2 | Gourmet extreme: l’Alchemist di Copenaghen” su Spreaker.

GOURMET EXTREME. L’ALCHEMIST DI COPENAGHEN
Il foto-reportage di Antonio Boco

Ma chiamarlo ristorante è riduttivo, visto che il cibo è solo una parte delle 50 impressioni che vengono messe in scena in 6 ore filate di rappresentazioni che non hanno eguali, almeno nella mia esperienza. Niente di paragonabile al Noma, per restare sul tetto della scena culinaria di Copenaghen, che resta la mia esperienza preferita per pensiero e atmosfera, ma neanche rispetto ad altri locali estremi, ad alto impatto creativo e teatrale, come ad esempio il DiverXo di Madrid.

Dell’Alchemist si è detto e scritto molto, quella che segue non vuole essere l’ennesima recensione ma solo un modo per mettere in evidenza qualche appunto, tra le cose che più mi hanno colpito, e pubblicare le foto della serata.

Prologo. Trovare posto in uno di questi locali non è per niente facile, all’Alchemist men che meno. Era da qualche anno che ci provavamo ma la fortuna, in quella specie di click day in cui vengono aperte le prenotazioni, ci aveva sempre voltato le spalle. Tutti i coperti di 3 mesi di attività vengono polverizzati in meno di 1 minuto di orologio. Una cosa assurda e meravigliosa, per il ristorante, visto che la politica è quella del ticketing, un po’ come avviene per concerti e grandi eventi, dunque con tutto il malloppo (o quasi) incassato in anticipo. Non a caso si parla di “biglietti”, la cui messa in vendita è annunciata a sorpresa attraverso il sito, la newsletter o i canali social. Per tentare di accaparrarsene uno bisogna registrarsi, essere veramente veloci, all’ora precisa del giorno in cui si apre la vendita, avere una carta di credito calda e incrociare le dita. Nonostante questo, le probabilità di trovare un posto sono piuttosto basse.

Come detto, stavolta ce l’abbiamo fatta. Un giorno di luglio mi arriva il messaggio di Paolo Baldelli, con cui condivido di solito questo tipo di esperienze: «Brutte notizie, amico mio, sono riuscito a prenotare all’Alchemist».

La solita ironia baldelliana tradisce stavolta l’impegno, soprattutto economico, dell’appuntamento. Il menù, o meglio l’esperienza all’Alchemist, costa cara. Attualmente si attesta sui 600 euro, escluso il servizio (che si paga alla fine del pasto, come sempre nella formula ticketing) e le bevande. Una mezza follia a cui comunque decido di prestarmi.

Il problema arriva però un paio di settimane più tardi, veicolato da una nuova telefonata di Paolo:

«Non so come dirtelo ma abbiamo fatto un piccolo errore».

Dimmi.

«Non abbiamo prenotato l’Alchemist Experience ma il Sommelier Table, la formula che prevede anche gli abbinamenti con i vini».

Ah, e quanto costa ‘sta roba?

«Beh, ecco, 2 mila euro a testa».

Dopo essere rinvenuto, credo un paio d’ore più tardi, cerco di convincere Paolo a scrive una mail al ristorante, facendo capire il qui pro quo. La risposta del manager è molto gentile e comprensiva. In soldoni, ci dicono che possono annullare la prenotazione, se non era quella la nostra intenzione, ma non assegnarci un tavolo “normale”, visto che sono tutti pieni. Al limite possiamo finire in lista d’attesa, in una specie di gioco dell’oca che ci riporta al punto di partenza. Ci salutiamo con l’idea di ragionarci su ma, come recita un vecchio adagio siciliano: chiù longa è a pinsata, chiù grossa è a minchiata. Dopo un paio di giorni, decidiamo di andare comunque. Capirò gli sfottò, ma non importa: sono sempre questioni di scelte e priorità.

Per fortuna, l’esperienza si è rivelata al livello delle altissime aspettative. L’Alchemist è un locale pazzesco, difficile da descrivere, in cui l’esperienza gastronomica è una parte del tutto, la pietra angolare di un edificio decisamente complesso. Architettonicamente sconvolgente, maniacale nei dettagli, sorprendente istante dopo istante, incredibile nella precisione del servizio, offre un’esperienza olistica in cui è impossibile annoiarsi, nonostante le 6 ore di permanenza previste.
Si mangia su tre piani diversi ma il cuore del ristorante è uno spazio che definire sala fa sorridere. Una specie di planetario in cui si succedono diverse ambientazioni e messaggi, dall’aurora boreale ai funghi, dai polli in batteria (uno dei tantissimi messaggi sociali e di sensibilizzazione che si ritrovano anche nei piatti) alle meduse. Queste ultime sono una specie invasivora, in preoccupante aumento nei mari del Nord, e per denunciare la cosa vengono messe in scena, oltre che in un piatto davvero delizioso.

Marine Invaders: le meduse

Qualche altro esempio a casaccio. Uno dei dolci ha la forma di una goccia di sangue ed è un invito alla donazione, ancora troppo debole in Danimarca. Si chiama Lifeline ed è un gelato fatto con sangue di maiale, crema e zucchero. Il sangue prende il posto delle uova come emulsionante e la ganache è fatta con un garum di sangue di cervo e olio di ginepro.

Lifeline

Non ci sono tavoli in questa sala ma, in pratica, più banconi che si snodano e offrono un tipo di servizio altamente moderno e condivisivo. Tra le cose più assurde: si inizia in una sala che cambia colore, con un grande specchio al centro, presi per mano per guardare dentro sé stessi; si chiude tuffandosi in una stanza piena di palle, in un gioco liberatorio esilarante.

Voglio essere molto netto su un punto: all’Alchemist si mangia benissimo. A dispetto delle provocazioni e degli ingredienti, ho trovato tanti assaggi perfettamente riusciti, equilibrati, addirittura comfort. Ovviamente si beve anche molto bene, ma su questo punto vale la pena soffermarsi. Come sapete, la scena del vino a Copenaghen, dal Noma in giù, è decisamente sbilanciata, in alcuni casi monopolizzata, dalle proposte “naturali”. L’Alchemist è diverso anche in questo: non mancano certo le bottiglie estreme, rare, hipster, ma ci sono anche e soprattutto i grandi classici e alcune delle migliori etichette del mondo.

Krug 2008: uno dei pezzi forti tra i vini in abbinamento

Mi fermo qui perché le cose da dire sarebbero tantissime, il rischio di dispersione molto alto e la sensazione di confondere, invece che chiarire, incalzante.

Prima della carrellata di foto, socializzo alcune pillole che mi sono appuntato:

  • L’Alchemist è frutto di un investimento di 15 milioni di dollari.
  • Il finanziatore è il magnate Lars Seier Christiensen, lo stesso del Geranium (n.1 della 50 Best, sempre a Copenaghen. In questa classifica, l’Alchemist è al momento diciottesimo ).
  • Ci sono solo 4 servizi a settimana per circa 48 persone a servizio.
  • I giorni di chiusura sono sabato, domenica e lunedì. Si, avete letto bene.
  • Ci sono 5 cucine.
  • Le persone impiegate sono circa 100.
  • Tutti hanno la stessa divisa, dallo stagista al manager.
  • L’esperienza dura 6 ore per un totale di 50 impressioni, tra cibo e arte.
  • La cantina è stupenda e coreografica: formata da 4 stanze, si snoda in verticale, ha 3 diverse temperature e conta circa 3500 etichette.
  • Non mancano giovani italiani nello staff, come succede spesso a Copenaghen. Tra questi Paolo Mirai, che ringraziamo tantissimo per la bravura e la premura.

Il famoso “1984”, piatto icona dell’Alchemist dai rimandi Orwelliani
Space Bread
Smokey Ball. Un morso ed esce il fumo che non ti aspetti…
Omelette al tartufo. Che ci crediate o no.
Dumpling. Ravioli cinesi delle meraviglie.
Bacio con la lingua
Food for Thought
Lo straordinario piccione, maturato nella cera d’api
Fluffy Bao
Amber, con le immancabili formiche dentro.
Coniglio
Pollo. Sia l’uno che l’altro.
Il piatto anti-fumo
Andy Warhol
Galline in gabbia. Una delle tante rappresentazioni che cambiano durante la cena
Guilty Pleasure. Contro il cibo spazzatura.
Plastic Fantastic. Altro messaggio per il futuro del pianeta.
Ascolta “E2 | Gourmet extreme: l’Alchemist di Copenaghen” su Spreaker.

TIPICAMENTE PODCAST
Un audio-diario a traccia libera di Paolo De Cristofaro e Antonio Boco

E2 | Gourmet extreme: l’Alchemist di Copenaghen
Con l’amichevole partecipazione dell’Ispettore Palma
Letture e grafica di Tiziana Battista

CREDITI

Il brano di apertura è “Nuje durmimmo ‘ncapa” di Giulio Romolo

Tipicamente Podcast | Tutte le puntate

E1 | Tornare in Borgogna: la Vietti experience
Con l’amichevole partecipazione di Elena Penna, Luca Currado e l’Ispettore Palma

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