Gennaio 2014. Col sommo Giovanni Ascione torniamo a Chacé, in Loira, da Clos Rougeard, dove ci aspetta Nady Foucault per regalarci una delle esperienze umane e bevitorie più incredibili della nostra vita: verticale profondissima (poi raccontata su Enogea) del Saumur Blanc Brezé, con tanto di chiusura affidata all’irreale 1928.
D’altra parte il buon Nady lo sapeva che sarebbe servito un raise all in per stupirci perfino di più della verticale completa (1988-2010) del suo mitico Le Bourg, fatta solo un paio di anni prima e raccontata da Giovanni sulle pagine di Bibenda.
Vini eptadimensionali, eppure quel che più mi ricordo di quelle giornate oniriche è il pranzo con la magnum di Le Bourg 09 e i mugliatiel, ehm volevo dire le andouillette, ma soprattutto Nady che ci carica di peso in macchina e ci porta dal giovane Antoine Sanzay non appena gli chiediamo: “ci dici un Saumur-Champigny che ti piace bere coi tuoi amici quando giocate a tressette, a parte i tuoi?”

Ecco perché ho stappato questo Poyeux 2018 tre minuti dopo averlo recuperato, pur sapendo che sarebbe stato un tantinello presto (eufemismo): troppo curioso di capire a che punto fosse quel ragazzo allora alle prime armi ma già capace di misurarsi senza timori con un’investitura così importante.
Non pensavo comunque fosse tanto presto: praticamente mosto appena aperto, totalmente aggrovigliato nel suo bozzolo terroso ed ematico; decisamente meglio dopo un giorno a bottiglia smezzata, che inizia a tratteggiarlo su quella fibra luminosamente bruna, veicolante spalla minerale, presenza tannica e sapore, che rende assai riconoscibili le migliori interpretazioni del cru.
Oggi capisco meglio come mai Nady ci accompagnò da lui: proprio perché non è un tentativo di emulazione o un surrogato stilistico più accessibile, e nemmeno un ologramma ispirazionale.
Una vera bottiglia da compagnia, sorridente e al contempo viscerale, che merita di essere attesa con totale fiducia per qualche anno.