“Quando non sai cos’è, allora è jaaaaaazz”, gongola il capo del personale del Virginian dando il benvenuto al trombettista Max Tooney, che poi diventerà il migliore amico di Danny Boodman T.D. Lemon Novecento ne La leggenda del pianista sull’oceano.
E quando non sai cosa bere: Champagne o Piedirosso flegreo. Soprattutto se parliamo di tanti Per’e Palummo degli anni ’10, che si sono finalmente lasciati alle spalle sgrammaticature e complessi di inferiorità rispetto ai presunti vini importanti, proponendosi come la tipologia per molti versi più trasversale dello scacchiere rossista campano (specialmente quando entrano in campo le 4/5 aziende di riferimento).
Li stappiamo quando non sappiamo esattamente di cosa abbiamo voglia e nove su dieci funziona, ma non per una generica intercambiabilità. Non il nero che va su tutto, piuttosto il jeans che senti più comodo e al tempo stesso in grado di farti il culo bello: una deliberata consapevole scelta casual con cui uscire di casa senza ansie da programmazione, sapendo che starai bene al reading futurista, al giappo, in pizzeria e al bowling. La monetina sospesa nel Juke box, e che scelga pure un altro il brano da ascoltare.
Un comfort che si moltiplica con la possibilità, e lo dico da feticista del Piedirosso colto in piena esuberanza giovanile, di godersi i più centrati anche dopo 5-10 anni, in una finestra ormai di tutta sicurezza. Trovandoli come in questo caso intatti nella loro fisionomia più fedele e riconoscibile (il trito di frutti ed erbe, il respiro vulcanico, l’evocazione gentile del piennolo, del geranio e del raspo), millimetrici lettori millesimali nella dinamica tutta ascendente e dissetante, senza smarrire il mare.
Vini che distolgono immediatamente dalla tentazione della scheda e del punteggio, ideali bottiglie di comitiva e compagnia, compresa quella dispari inferiore a 2.