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Pillole di Wine Club #19 | Doppia Orizzontale Fiano di Avellino 2004-2005

apertura

E giungemmo così al termine del calendario 2016/17, con la doppia orizzontale Fiano di Avellino 2004 e 2005.

Prima di parlarne, un doveroso quanto sentito ringraziamento a tutta la squadra del Marennà di Sorbo Serpico (AV), guidata da Angelo Nudo e Paolo Barrale: ci hanno permesso nuovamente di assaggiare nelle migliori condizioni possibili da un punto di vista organizzativo ed ambientale, e non è un fatto scontato dalle mie parti.

Fiano, dicevamo. Che stravince la sfida a distanza col Greco di Tufo (link), almeno per quanto emerso dalle due retrospettive ravvicinate. Sarà anche il più “borghese” e "pipi" dei bianchi campani, ma se parliamo di qualità diffusa e autorevolezza evolutiva non c’è partita. A maggior ragione considerando le annate rivisitate, non certo i prototipi di quelle a 5 stelle: in entrambe tanta pioggia in pre-vendemmia, maturazioni eterogenee, rischi di diluizione nella fibra e nel sapore.

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Eppure ne usciamo con una decina di vini (su 24) non solo pienamente integri, ma resi più articolati e complessi dalla sosta in bottiglia. Come vuole un vero “bianco da invecchiamento”, per l’appunto. Il Fiano di Avellino dimostra una volta di più di meritare l’investitura e potersi misurare su questo terreno con le più reputate tipologie europee. Cosa manca, allora, se i freddi numeri dicono che con i soldini di 1 medio Montrachet ci portiamo a casa 5 cartoni misti di Lapio, Montefredane e Summonte?

Due possibili risposte, per quanto mi riguarda. Da una parte, è sempre utile ricordare che la storia collettiva della denominazione inizia davvero negli anni duemila. Con la vendemmia 2003 a fare per molti versi da spartiacque: la prima a fregiarsi della Docg e a richiamare attenzione mediatica, anche grazie a nuove iniziative di promozione (come Terra Mia e BianchIrpinia) non focalizzate più soltanto su aglianico e Taurasi. Fino a quel momento, inoltre, le occasioni per assaggiare un Fiano irpino di dieci e più anni erano decisamente rare. E quasi sempre passavano obbligatoriamente per gli archivi di Mastroberardino e Vadiaperti.

Dall’altra, da collezionista ed estimatore della tipologia non ho problemi a riconoscere alcuni limiti forse strutturali del vino-vitigno avellinese. Le migliori riuscite possono sedersi al tavolo dei grandi per la loro brillantezza aromatica e armonia strutturale, ma scontano quasi sempre un piccolo gap a livello gustativo. In altre parole: il Fiano resta fondamentalmente più un bianco di naso che di bocca, e quando entrano in campo i mostri di Borgogna o Loira o Rheingau la differenza spesso si sente proprio nell’ultimo pezzetto di sorso.

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L’esatto contrario di quel che accade con i Greco di riferimento. Più anarchici nell’espressione, più incostanti nell’invecchiamento, ma talvolta capaci di raggiungere vette superiori per forza materica e densità saporosa. Varietà complementari fino in fondo, perché il Fiano gode sicuramente di una rosa più ampia di interpreti ed opzioni di livello. Là dove tra Tufo e dintorni si colgono distanze maggiori tra le punte di diamante e il “gruppone”, meno competitivo nel suo complesso. Forzando ma non troppo, potremmo dire che il Real Fiano è la squadra che aspira a vincere i campionati, grazie alla regolarità di prestazioni e all’intercambiabilità dei “titolari”. Mentre l’Atletico Greco è la mina vagante di Coppa, quella che in tenzone secca può mettere in difficoltà perfino il Barcellona o il Bayern di turno.

Sfumature e suggestioni per continuare a ragionare sulle prospettive di un terroir senza dubbio cresciuto in notorietà e blasone, che può giovarsi ulteriormente di questo virtuoso dualismo. Come detto, tuttavia, la nostra panoramica si è rivelata a conti fatti al di sopra delle aspettative: un bel modo di chiudere la stagione, come al solito con qualche nota sintetica sulle bottiglie più godute dalla tavolata.

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IL PODIO (EX AEQUO)

Colli di Lapio – Fiano di Avellino 2005

Dopo l’iniziale impuntatura lattica, Lapio al suo meglio: glicine, lampone, lime, erbe di campo, energia fluviale ad innervare un sorso nitido e continuo, senza scissioni o evoluzioni nocciolate.

Pietracupa – Cupo 2005

Impronta fumé elegantissima, scorze agrumate e balsami a richiamare Montefredane secondo Sabino Loffredo. Il più completo gustativamente: spalla rigogliosa e scheletro martellante, finale tonico ed irradiante, tutto sullo iodio.

Ciro Picariello – Fiano di Avellino 2004

Partenza riduttiva, suggestioni marine quasi di ostriche, mandarino e mentuccia: naso che non si scorda e trova coerente sponda in un sorso dichiaratamente verticale, perfino un cicinin di troppo dopo 13 anni. Quisquilie: è la cosa più simile ad un Montée de Tonnerre di Dauvissat mai incrociata in Irpinia e grande vino tout court.

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ALTRETTANTO BUONI

Vadiaperti – Fiano di Avellino 2005

Altra bottiglia perfetta per chi vuole divertirsi con le similitudini fra terroir geograficamente lontani: tremendamente “sancerriano” per la pura trasparenza degli aromi e la rocciosa leggerezza della progressione palatale. Manca forse un plus di spalla, ma i cultori degli stili “sottrattivi” lo ameranno senza condizioni.

Montevergine – Fiano di Avellino 2005

Piccola azienda con sede nel capoluogo irpino, solo saltuariamente entrata nei radar dei fianisti più curiosi. Un vero peccato, perché i riassaggi regalano sistematicamente bellissime sorprese, come questo 2005. Ideale trait d’union tra la prorompenza sapida di Montefredane e la solarità montana di Summonte.

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Mastroberardino – Fiano di Avellino Radici 2005

Tra i più integri ed armonici in assoluto, stilisticamente riconoscibile nel gioco di frutto bianco, erbe da cucina, fiori di acacia. Dolcezza e algidità a cooperare anche nello sviluppo del sorso, sottile e progressivo senza cedimenti.

Colli di Lapio – Fiano di Avellino 2004

Perfino più affascinante, aromaticamente, del notevole 2005: impronta chablisien, burro fresco, ribes, cedro e tutto il repertorio primaverile di fiori ed erbe che rende inconfondibile il fiano di Lapio. E’ solo un pizzico di profondità a mancare nel vivido finale di Sperlari al limone, ma parliamo di dettagli.

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Guido Marsella – Fiano di Avellino 2004

Intensità a gogò, paradigma del Marsella style: percoca, mandarino cinese, resine, brace, ci aspettiamo e troviamo la bocca più ricca e saturante della batteria. Più largo che affilato, trova solido sostegno nel connubio di frutto dolce e sapidità affumicata.

Villa Raiano – Fiano di Avellino 2004

Si avvertono ancora echi primari di mela verde ed erbe aromatiche: un’idea di gioventù che il palato non tradisce, grazie alla sua grassezza orizzontale non sprovvista di nerbo. Rispetto ad altri perde qualcosa in spontaneità di beva, ma è tecnicamente inappuntabile.

Terredora – Fiano di Avellino Terre di Dora 2004

Profilo evidentemente più maturo di frutta secca e canditi, tocchi quasi botritici di zafferano e spezie, conserva una sua coesa integrità nello sviluppo del sorso. Non è la bottiglia da consigliare a chi cerca sferzate citrine, ma nel suo stile rotondo funziona.

Tipicamente Wine Club – Le puntate precedenti

Pillole di Wine Club #11 | Verdicchio: zone, stili, interpreti
Pillole di Wine Club #12 | Nebbiolo e Alto Piemonte: zone, stili, interpreti
Pillole di Wine Club #13 | Orizzontale Barolo 2004
Pillole di Wine Club #14 | Aglianico del Vulture: zone, stili, interpreti
Pillole di Wine Club #15 | Doppia Orizzontale Taurasi 2003-2004
Pillole di Wine Club #16 | Brunello di Montalcino: zone, stili, interpreti
Pillole di Wine Club #17 | Doppia Verticale Terra di Lavoro-Serpico
Pillole di Wine Club #18 | Doppia Orizzontale Greco di Tufo 2005-2006

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