
Dopo la breve pausa di gennaio ritornano le serate del Tipicamente Wine Club, con l’appuntamento dedicato al Brunello di Montalcino, coccolati come sempre dalle mille attenzioni della squadra del Marennà di Sorbo Serpico.
Quattordici vini di altrettante aziende per provare ad approfondire, bicchieri alla mano, quello che è a tutti gli effetti uno dei simboli del made in Italy nel mondo. I numeri del resto parlano chiaro: 3.500 ettari vitati (circa 2.000 iscritti all’Albo del Brunello), un potenziale da 10 milioni di bottiglie annue, oltre 200 imbottigliatori, 10-12 euro al litro per lo sfuso di Brunello (e intorno ai 4 per il Rosso, che non sono noccioline), 400-500.000 euro almeno per un ettaro vitabile.
Niente male per un borgo che, non mi stancherò mai di ricordarlo, figurava negli anni ’50 tra i più poveri d’Italia per reddito pro-capite, collocato com’era (e com’è) in un’area piuttosto isolata. Eppure cresciuto esponenzialmente nella sua dimensione collettiva, nonostante inciampi, visioni divergenti sul futuro, veri e propri scandali mediatici.
Eppure. Montalcino è un nome-marchio conosciuto ormai universalmente, ma l’idea espressiva che vi si associa è ancora molto diversa da bevitore a bevitore. Particolarmente stimolante, da questo punto di vista, la chiacchierata iniziale a bicchieri vuoti scaturita dal mio interrogativo marzulliano: che cos’è per voi il Brunello?
Ebbene, è chiaro a tutti che si tratti di una tipologia “importante”, esponente di spicco della ristretta aristocrazia dei cosiddetti “rossi da invecchiamento”. Ma poi, anche tra appassionati di lungo corso, c’è chi si figura un vino potente e masticabile, chi longilineo, riservato ed austero, chi una via di mezzo, e chi niente di questo. Aspettative elevate, dunque, anche in ragione di prezzi non propriamente da bere quotidiano (in linea di massima da 25-30 euro a salire, con tendenza al rialzo). Ed esperienze concrete d’assaggio spesso molto variegate, nel bene e nel male.
E’ probabilmente la questione più complicata da maneggiare in chiave “didattica”. Montalcino non certo è il posto ideale per chi è abituato a schematizzare le bevute in funzione di zone, quadranti, cru, e relative ricorrenze caratteriali. Ci si dimentica a volte che molte aziende di primo piano lavorano con uve provenienti da molteplici sotto-aree. Di un territorio decisamente ampio, che considera storicamente valore aggiunto la possibilità di giocare in cantina con blend di vigne pedoclimaticamente differenziate, per gestire al meglio i capricci del sangiovese grosso nei vari andamenti climatici.
A mio avviso, inoltre, non viene sottolineata a dovere la natura intrinsecamente eterogenea dell’areale. Non siamo in Borgogna o in Langa, e a leggere certi report sembra quasi che sia un minus. Faccio fatica altrimenti a spiegarmi i continui tentativi di “zonizzazione espressiva”, specialmente tra i wineteller di cultura anglosassone. Che si rivelano il più delle volte forzati ed inefficaci alla prova del bicchiere: mero esercizio di stile, se poi si assomigliano tanto – come accade – vini che nascono a chilometri di distanza; o al contrario, divergono in maniera significativa Brunello di poderi contigui.
Credo che molta della magia di Montalcino risieda proprio in questo patchwork per molti versi inestricabile di terreni, altitudini, esposizioni, epoche di raccolta, letture stilistiche. Ecco perché sempre più considero incisivo, e divertente, un approccio “micro” alla denominazione. Dal particolare al generale: quel Brunello prima di tutto, quella cantina, quella famiglia espressiva, e solo dopo un ragionamento su settori, località, cru vecchi e nuovi, da cui ricavare abbozzi di mappature credibili.
E così abbiamo fatto. Quattro batterie ordinate per macro-zone geografiche, senza alcuna pretesa di esemplificazione territoriale da affidare alle etichette e ai millesimi in assaggio. Per quanto mi riguarda resta più facile riconoscere la mano e gli interpreti, quando ci si confronta col meglio di Montalcino: mi pare tutt’altro che un elemento di debolezza, anche alla luce del folto gruppo di aziende che si contende i favori di critici e operatori.
Il valore di squadra sembra consolidarsi di vendemmia in vendemmia, impressione pienamente confermata anche dalla nostra piccola ricognizione. Come livello medio, è stata senza dubbio la migliore delle 16 serate finora consumate con la cellula campana del Tipicamente Wine Club. Quasi tutti i vini in forma e fedeli alle attese, annate “minori” incluse. Resta semmai, e non è la prima volta, qualche dubbio sulle “vette assolute”: quelle bottiglie, come spesso semplifichiamo su questi schermi, che schiereremmo ad occhi chiusi in duello all around col meglio del meglio dei rossi Vecchio Mondo.
Vi lascio allora, come di consueto, con qualche nota sintetica sui vini trasversalmente apprezzati dalla tavolata (eventuali integrazioni su richiesta).
Settore Nord – Baricci | Brunello di Montalcino 2009
A dir poco classico, fin dal primo impatto, nei ricordi di lamponi, fiori secchi, erbe officinali, radici, e l’inconfondibile tocco di bergamotto che fa subito Montosoli versione Baricci. Forma terziaria, sostanza vitale ed energica, i limiti del millesimo si avvertono solo nel generoso abbraccio alcolico, ma sono dettagli rispetto alla pregevole gentilezza estrattiva ed armonia di beva. E’ un momento ideale per goderlo.
Settore Nord – Il Marroneto | Brunello di Montalcino Madonna delle Grazie 2008
Lento, lentissimo nel concedersi, sulle prime può apparire un Brunello cupo e severo. Per gli aromi di sottobosco, frutta secca, cuoio conciato, bacca di caffè, ma soprattutto per la granitica dotazione tannica. Suggestioni gradualmente resettate man mano che l’ossigeno fa il suo lavoro: viene fuori il frutto chiaro, le essenze coloniali e termali, il sorso si fa più dolce e saporito, il tannino puro velluto. Quando si apre, è magia.
Settore Centro-Occidentale – Le Ragnaie | Brunello di Montalcino V. V. 2007
Diverso, diversissimo da tutti gli altri. E non potrebbe essere altrimenti, ricordando i 600 e passa metri del Passo del Lume Spento, dove si colloca la vecchia vigna vinificata separatamente da Riccardo Campinoti, proprio a partire dal 2007. C’è più di una suggestione “pinot” nel gioco di fruttini, balsami e spezie, come nel sorso leggero e progressivo, appena crudo e stretto in chiusura.
Settore Centro-Occidentale – Le Potazzine | Brunello di Montalcino 2006
Probabilmente “il” vino della serata per i “nasisti”. Molteplici e in armonia tra loro i variegati registri aromatici: silvestre e piccante dall’inizio alla fine, si esibisce in souplesse, ben sostenuto dal ricco sapore e dalla grana estrattiva fine e matura. Mediterraneo ed appenninico insieme.
Settore Centro-Orientale – La Lecciaia | Brunello di Montalcino Vigna Manapetra 2009
Altro esempio di 2009 decisamente ben riuscito ed interpretato. Rarefatto e crepuscolare, per certi aspetti, ma solido e compatto nello sviluppo: gelatina di fragole, arbusti marini, agrumi canditi, infuso di karkadè, tocchi di miele, non manca certo di ampiezza, a dispetto dell’impronta terziaria. Ma si rivela all’altezza anche la bocca, sottrattiva al limite dello scarno – come detto – eppure profonda nella scia finale.
Settore Sud-Orientale – Mastrojanni | Brunello di Montalcino Vigna Loreto 2009
Ben vengano le annate “minori”, se ci danno la possibilità di stappare prima del consueto vini che solitamente richiedono pazienza per essere goduti al meglio. Provare per credere un Vigna Loreto forse mai così goloso come in versione ’09: gelsi, mentuccia, elicriso, è soffice e proporzionato anche nel profilo gustativo, nobilitato dalla preziosa densità salina.
Bonus Track: Settore Centro-Orientale – Barbi | Brunello di Montalcino Riserva 2007
Ha senza dubbio diviso maggiormente la platea, anche rispetto ad altri ottimi vini non raccontati qui per esigenza di sintesi. Ma mi piace sottolineare la prova della Riserva 2007 di Barbi per quello che rappresenta a prescindere dalle indicazioni del bicchiere: memoria di uno stile sempre più raro a Montalcino. Chi cerca il Brunello dei libri, quello ancien régime che sa di tabacco e tartufo, essenziale, riservato ed austero fino allo scontroso, duro di scheletro più che di materia, ebbene: non ha molta scelta fuori dalla cantina di Podernovi. Specialmente oggi che si delinea sempre più un prima e un dopo nella storia del Greppo e della famiglia Biondi Santi.
Tipicamente Wine Club 2016/2017 – Prossimo appuntamento
Il prossimo appuntamento del Tipicamente Wine Club è in programma Lunedì 27 Febbraio, con la Doppia Verticale di Serpico Feudi di San Gregorio e Terra di Lavoro Galardi (Annate Serpico: 2008, 2007, 2006, 2005, 2004, 2003, 2001, 2000, 1999; Annate Terra di Lavoro: 2010, 2009, 2008, 2006, 2005, 2004, 2003, 2002, 1999)
Qui il calendario completo delle degustazioni: link.
Pillole di Wine Club #11 | Verdicchio: zone, stili, interpreti
Pillole di Wine Club #12 | Nebbiolo e Alto Piemonte: zone, stili, interpreti
Pillole di Wine Club #13 | Orizzontale Barolo 2004
Pillole di Wine Club #14 | Aglianico del Vulture: zone, stili, interpreti
Pillole di Wine Club #15 | Doppia Orizzontale Taurasi 2003-2004
Riguardo alla frase “Ci si dimentica a volte che molte aziende di primo piano lavorano con uve provenienti da molteplici sotto-aree”, segnalerei che questo a sua volta non è indipendente dal fatto che a Montalcino non è diffusa una cultura della zonazione.
Anche a Barolo e a Barbaresco trent’anni fa le uve provenienti da diverse sotto-aree venivano vinificate insieme. Poi con la crescita esponenziale dei piccoli produttori le vinificazioni separate sono diventate la norma, recentemente codificata a livello di disciplinare dalle “menzioni geografiche aggiuntive” (che peraltro per quel che si legge dovrebbe prevedere una soglia minima dell’85% per la provenienza delle uve, consentendo quindi tagli migliorativi se minoritari).
Leggendo il resoconto appena apparso su Acquabuona degli assaggi in vasca delle diverse parcelle delle Potazzine a Montalcino, verrebbe voglia di poter seguire i loro sviluppi in bottiglie separate: in particolare per la zona di Le Prata, che a detta di Pardini possiede un suo carattere distintivo — che è poi il fondamentale requisito di un cru.
mi sembra una giusta integrazione.