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Campania Stories 2016 – I Vini Rossi

foto di apertura

Se il quadro dei Bianchi campani appare tutto sommato confortante (link), di sicuro non si può dire lo stesso per i rossi.

Come già sottolineato in forma di “tweet” sulla nostra pagina Facebook (link), c’è quasi da preoccuparsi per certi versi, al netto delle assenze tra le cantine presenti a Campania Stories. Tutt’altro che uno shock improvviso, ovviamente, ma forse è la prima volta che i vari assaggiatori non si limitano a sfogare la delusione nei corridoi, scegliendo di darvi rilievo nei propri report. Non da oggi raccolgo dubbi e perplessità tra amici e colleghi sui rossi della mia regione, sempre meno considerati da loro all’altezza dei corrispettivi in bianco. E però poi se ne perdono regolarmente le tracce nelle valutazioni “ufficiali”, guide, riviste o siti che siano: l’impressione, come detto, è che in questa occasione le voci critiche avranno un’eco più forte e prolungata nel post-rassegna.
Altra doverosa premessa. Nella prima puntata siamo partiti da brevi focus sulle ultime annate (2015, 2014 e 2013), da cui provenivano la stragrande maggioranza dei bianchi presentati in assaggio. Per i rossi è un’operazione di fatto impossibile: anche all’interno delle stesse denominazioni, convivono etichette figlie di almeno 5-6 vendemmie diverse, talvolta di più. Sovrapposizioni e promiscuità millesimali dettate in tutta evidenza più da difficoltà e lentezze commerciali, che da consapevoli scelte strategiche, stilistiche, produttive. Fenomeni che alimentano l’effetto confusione-dispersione e costringono ad approfondimenti specifici, zona per zona, tipologia per tipologia. Da una parte ce la possiamo cavare chiamando in causa la straordinaria ricchezza ampelografica, l’incredibile complessità territoriale, la sorprendente originalità, e bla bla bla. Dall’altra non c’è da meravigliarsi se la domanda di rossi campani stenti sui mercati più distanti, tanto da un punto di vista geografico quanto di conoscenza e abitudini di consumo.
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Un’oasi chiamata Piedirosso
Per lungo tempo snobbato, trattato fondamentalmente come il cugino sfigato del più celebre e rispettato Aglianico, il Piedirosso si gode finalmente il suo momento di gloria. Senza dubbio meritato, assaggi alla mano, perché le interpretazioni convincenti si consolidano, segnalandosi tra le bottiglie più “contemporanee” della regione. Spensierati ma caratterizzati, golosi ma non per forza banali, facili da bere, hanno il pregio di costare il giusto e di adattarsi alla tavola meglio di qualunque altro rosso campano.
Il momento è a dir poco favorevole per queste tipologie, ma è un’attenzione destinata probabilmente a durare ben oltre le contingenze modaiole. In primis per il circolo virtuoso innescato nei terroir maggiormente legati al vitigno, Campi Flegrei in testa, da un gruppo di cantine affidabili e costanti, ciascuna col suo stile. Si può preferire Agnanum-Moccia o Contrada Salandra, Astroni o La Sibilla, Cantine dell’Averno o Cantine Federiciane (in attesa dei nuovi vini di Francesco Martusciello), ma sai che in qualche modo caschi bene, quando peschi dal primo gruppo di merito. Anche se non tutti l’hanno capito, la qualità di “squadra” fa tutta la differenza del mondo oggi per scalare posizioni, soprattutto se non ti chiami Borgogna, Mosella o Champagne.
In secondo luogo non sembra esserci il rischio di passi più lunghi della gamba, dato che parliamo di poche migliaia di bottiglie, pur aggiungendoci i base Piedirosso di Ischia, Capri, Vesuvio e Penisola Sorrentina. Né ci sono strutturalmente le condizioni ambientali ed economiche per immaginare chissà quali incrementi viticoli e produttivi. I problemi sono semmai di segno opposto, perché nelle aree storiche è un’agricoltura che si fa sempre meno sostenibile in rapporto ai costi di gestione. L’unica chance sarebbe dunque quella di ritoccare gradualmente i listini verso l’alto, mantenendo stabile la produzione, ma il riscontro commerciale di Piedirosso piazzati a 30 e passa euro è tutto da verificare.
nanni
Pallagrello e Casavecchia, sopravvissuti in cerca di autore
Il “caso Piedirosso” insegna: anche in tempi di crisi finanziarie e di contrazioni di consumi, c’è sempre spazio – eccome – per vecchi e nuovi exploit. E mi sono a lungo convinto che “the next big thing” del rossismo campano avrebbe trovato casa in provincia di Caserta, precisamente tra la Piana di Pontelatone e le Colline Caiatine-Matesine, aree di riferimento per i vini da Casavecchia e Pallagrello. Mi è sempre piaciuto pensarli come “l’anello mancante” nell’offerta regionale, ideale ponte di congiunzione tra la versatile allegria dei rossi costieri-vulcanici e l’ambiziosa austerità di tanti Aglianico delle zone interne. I classici “pesi medi”, con cui giocare e sperimentare su molteplici piani interpretativi, focalizzandone parallelamente le specifiche vocazioni.
Riconosco di aver ecceduto in ottimismo, alla luce delle ultime orizzontali: i vini davvero interessanti continuano ad essere pochi, molto pochi, e si fa ancora una gran fatica ad inquadrare il vero volto delle rare cultivar casertane, letteralmente salvate dall’estinzione. Prevalgono espressioni sostanzialmente “apolidi”: rossi velleitari, dominati dalla confezione enologica, scarsamente identificabili nell’affollato panorama sudista. La bizzosa gioiosità del casavecchia e la saporosa eleganza del pallagrello nero appaiono desiderate e cercate più da noi che dagli stessi produttori. E solo marginalmente raccontate nelle decine di etichette comparse negli ultimi anni. Ha poco senso, allora (mea culpa mea culpa mea maxima culpa), ragionare su variabili come sottozone o annate nel momento in cui manca una rosa significativa di opzioni costantemente valide. Le potenzialità restano intatte dal mio punto di vista, ma mai come in questa finestra mi pare di registrare un vero e proprio processo involutivo.
satyricon - tecce
Aglianico, re senza corona
Sensazioni che si amplificano ulteriormente quando entra in campo l’Aglianico, nelle varie forme che assume dal Massico al Cilento, passando per Galluccio e Roccamonfina, il Sannio e l’Irpinia, Taburno e Taurasi, e altre enclave meno importanti per il vitigno. Di gran lunga il più coltivato in regione, vale la pena di ricordarlo (oltre 7.000 ettari, un terzo del totale), nonché il più rappresentato nelle gamme proposte dalle circa 400 aziende campane. Per capirci, un’orizzontale completa di rossi da aglianico in purezza, o giù di lì, sarebbe composta da poco meno di 300 etichette.
La domanda è proprio questa, senza girarci tanto attorno: sono numeri sostenibili per la filiera regionale nel breve e medio periodo? A me pare francamente di no, tenendo conto di un’ampia serie di fattori. Innanzitutto una qualità media tutt’altro che brillante, condizionata da un gruppone di vini poco più che corretti tecnicamente, aromaticamente cupi e gustativamente ingolfati, di beva difficoltosa e spesso complicati da abbinare. Alcolici, tannici, estrattivi, non esattamente l’identikit del rosso trendy per l’attuale scenario commerciale, in Italia e all’estero. Ostici per il fantomatico consumatore medio, ma con appeal limitato anche presso gli appassionati più curiosi e scafati.
Non che in altri territori decisamente più “mediatici” le cose vadano meglio da questo punto di vista, sia chiaro. Eppure pesa in maniera ben diversa, per numeri e storia, il ruolo delle “punte”, capaci di riscattare ettolitri ed ettolitri di vini “normali”, e nulla più. Gli Aglianico di riconosciuta caratura mondiale restano grossomodo gli stessi, e per certi versi diminuiscono. Perché da un lato i veterani sembrano soffrire sempre più di sindrome da accerchiamento, quasi ossessionati dal rumore di nemici che vedono in ogni dove. Dall’altro i cosiddetti emergenti hanno ancora molto da dimostrare sul piano della costanza realizzativa e dell’identità stilistica.
perillo
Ma la questione chiave è forse un’altra. L’Aglianico Campania Team scarseggia di goleador alla Higuain, ma nemmeno a centrocampo se la passa tanto bene. Sessione dopo sessione si amplifica la sensazione che la varietà principe dell’Appennino Meridionale si presti a plasmare vini “importanti” per struttura, rigore, longevità, e molto meno a rossi disinibiti, empatici, rilassati, da godere senza tante chiacchiere. Come se ci fosse un limite “genetico” alla possibilità di percorrere la “via di mezzo”, e ciò si riflette anche nei listini: guardate altrove, sembrano dire nell’insieme, se siete in cerca del famigerato rapporto qualità-prezzo.
Ma dato che poi la bottiglia “intelligente” di tanto in tanto salta fuori, è evidente che le disamine ampelografiche funzionano fino a un certo punto. E’ piuttosto una carenza di interpreti all’altezza a risaltare una volta di più: vignaioli impegnati a “togliere” anziché aggiungere, ad assecondare anziché combattere, frenare, subire l’indole rude e selvaggia del vitigno. Specialmente quando questo significa, e nella maggior parte dei casi è così, inseguire più “roba”, più alcol, più legno, più protocollo. Non è un caso se i rossi da Aglianico di cui più si parla in questa fase incarnino un’ispirazione “sottrattiva”, riuscendo a coinvolgere ben oltre le puntigliosità tecniche e grammaticali. Ne servirebbero molti di più da affiancare ai “supermaratoneti”, meglio ancora se a costi accessibili. Altrimenti quei 7.000 ettari e oltre richiederanno prima o poi un’inevitabile riconversione.
coste - contrade taurasi
Campania Stories 2016 – Vini Rossi, i consigli di Tipicamente
Il riepilogo dei vini segnalati, corredato da brevi note, è scaricabile in versione pdf al link caricato in coda al post. I prezzi riportati sono quelli comuicati dalle azienda partecipanti a Campania Stories, relativamente al listino nazionale ho.re.ca. (iva esclusa)
Gli imperdibili
Campi Flegrei Piedirosso 2014 – Agnanum – € 6,50 + iva
Irpinia Campi Taurasini Satyricon 2013 – Tecce – € 11,50 + iva
Taurasi 2007 – Perillo – € 18,50 + iva
Ideali per la mescita primavera/estate
Penisola Sorrentina Gragnano Ottouve 2015 – Martusciello – € 6,50 + iva
Sannio Sant’Agata dei Goti Piedirosso 2015 – Mustilli – € 6,50 + iva
Campi Flegrei Piedirosso Tenuta Camaldoli Ris. 2012 – Astroni – € 15,00 + iva
Aglianico del Taburno 2013 – La Rivolta – € 7,60 + iva
Irpinia Aglianico Magis 2012 – Antico Castello – € 10,00 + iva
Costa d’Amalfi Ravello Rosso Selva delle Monache Ris. 2012 – Sammarco Ettore – € 13,50 + iva
ocone

Per chi sa aspettare

Terre del Volturno Rosso Sabbie di Sopra il Bosco 2014 – Nanni Copè – € 17,50 + iva
Taurasi Poliphemo 2012 – Tecce – € 23,00 + iva
Taurasi Coste 2011 – Contrade di Taurasi – € 25,00 + iva
Bonus simpatia
Aglianico del Taburno Apollo 2010 – Ocone – € 5,50 + iva
CS 2016 Rossi – I consigli di Tipicamente – Versione pdf scaricabile, corredata da brevi note di assaggio

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