
Tra le tracce del tema di attualità, all’esame di maturità dello scorso anno, c’era anche una frase di Renzo Piano sul “rammendo delle periferie”.
“Siamo un Paese straordinario e bellissimo, ma allo stesso tempo molto fragile. È fragile il paesaggio e sono fragili le città, in particolare le periferie dove nessuno ha speso tempo e denaro per far manutenzione. Ma sono proprio le periferie la città del futuro, quella dove si concentra l’energia umana e quella che lasceremo in eredità ai nostri figli. C’è bisogno di una gigantesca opera di rammendo e ci vogliono delle idee”.
Dunque, le periferie sono la città del futuro, dice Piano. “Forse non fotogeniche e spesso anche peggio, ma ricche di umanità. Nei centri storici abita il 10 per cento della popolazione urbana, il resto sta in questi quartieri che sfumano verso la campagna. Qui si trova l’energia. I centri storici ce li hanno consegnati i nostri antenati, la nostra generazione ha fatto un po` di disastri, ma i giovani sono quelli che devono salvare le periferie”.
Cavolo se sono d’accordo! E’ bello vivere comodi, in pieno centro, con tutti i comfort, se ne hai la possibilità. Però la vera energia sta altrove, e spesso anche la creatività. In certe zone puoi solo godere di quel che è stato fatto, incidendo poco o niente. In altre invece puoi innovare e, se necessario, fare la rivoluzione.
Centro e periferie, ovvio, non sono solo concetti urbani o architettonici ma anche ideali e filosofici. Esistono anche nel vino. Che so, in Italia le Langhe e Montalcino sono sicuramente al centro, così come in Francia lo sono Bordeaux, Borgogna e Champagne.
Tutti vorrebbero frequentare il centro ma non sempre se ne ha la possibilità. Pazienza, ci sono periferie attraenti e colorate, in cui l’energia è stata ben incanalata. Qui si trovano vini meno nobili, forse, ma anche altamente creativi e spesso irriverenti. Gli abiti non saranno quelli eleganti delle vie principali ma certo mostrano uno stile alternativo che sa colpire. E che in centro, a volte in maniera un po’ bigotta, non ci si può permettere.
In Francia la grande periferia del sud si sta facendo valere. Un tempo serbatoio di vino indifferenziato, oggi capace di mille percorsi identitari e territoriali, spesso fatti da giovani con mezzi poco ordotossi, in aperta contestazione all’enologia convenzionale dei grandi marchi. Non è un caso che il movimento naturale si sia sviluppato soprattutto qui, o comunque in eno-aree meno in vista.
Cercare è un piacere e i casi virtuosi abbondano. Ecco l’ultimo. Da poco ho bevuto questo vino prodotto alle porte della Camargue, dalle parti di Nîmes. Si chiama La Petite Signature Rouge ed è prodotto dal Domaine de Rapatel di Gérard Eyraud, viticoltore fanatico di metodi eno-agricoli radicali. L’annata in questione ci riporta al 2004.
Da un mix di uve sudiste, carignan, cinsault, grenache, mourvèdre e syrah, è un rosso spiccatamente mediterraneo. I profumi di garrigue, con intense folate di elicrisio e lieve tartufo, incrociano un frutto ancora brillante, di amarene mature. In bocca scalda ma non brucia, ha una scia di gelsi neri e un bel contraltare balsamico. Non contiene solfiti aggiunti, come si usa nelle periferie moderne.