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Villa Diamante, Fiano di Avellino Vigna della Congregazione e Clos d'Haut 2013

Clos d'Haut '13

Non so e non voglio spiegare cosa significhi arrivare a Villa Diamante e non poter più chiacchierare con Antoine Gaita. So e voglio condividere, invece, la gioia di trovare la moglie Diamante nella cantina-garage, alle prese con tubi e serbatoi.

E’ brutalmente cambiata ma non terminata il 14 gennaio scorso (link), insomma, la storia di un’azienda conosciuta ed amata come poche, tra quelle che hanno fatto grande il distretto irpino nell’ultimo ventennio. Forse la prima realtà della zona ad aver puntato tutto su un approccio dichiaratamente “artigianale”: un paio di ettari seguiti in prima persona, un’unica etichetta principale in tiratura limitata, affiancata da qualche divertissement, più che da una vera gamma.
Dici Fiano di Avellino Vigna della Congregazione e pensi immediatamente al grand cru di Montefredane, nella sua espressione stilisticamente più connotata. Un vino che nelle migliori versioni può sedersi quasi con spavalderia allo stesso tavolo dei più grandi bianchi europei, che continuerà a raccontare le idee in qualche modo anarchiche dei suoi artefici. Lo si dice sempre, praticamente in automatico, ma in questo caso è sintesi autentica fino al midollo. Chi ha avuto modo di confrontarsi con Antoine sa bene che per lui ogni vendemmia era uno spartito da interpretare di volta in volta con uno strumento diverso. Osando, rischiando, alzando sempre più la posta in gioco, perché ripetitività ed omologazione erano la sua kriptonite. Non è altro che una nuova sfida, allora, quella che si materializza senza di lui, perlomeno nella sua presenza fisica: è inevitabile che ci sia un prima e un dopo nell’avventura di Villa Diamante, ma sono le pagine di un medesimo libro. E questa evidenza mi scalda il cuore.

Diamante Renna - foto del 2011
Diamante Renna – foto del 2011

Sensazioni che si amplificano riassaggiando a tavola i 2013 commercializzati da qualche mese. Plurale non casuale, dato che in questo millesimo si è aggiunto un secondo cru di Fiano, il Clos d’Haut. Come avevo anticipato qui, si tratta di una selezione originata da alcune parcelle collocate sulla sommità della collina meridionale di Montefredane, a circa 500 metri di altitudine, su terreni più sciolti e scuri rispetto ai suoli argilloso-pietrosi della Congregazione. Mi erano sembrati a dir poco promettenti già in vasca, ma dopo l’imbottigliamento è ancora più chiaro come la loro distanza espressiva sia inversamente proporzionale a quella geografica.
Sono contento di averne fatto scorta, non solo perché li considero entrambi grandi vini tout court, probabilmente tra i migliori usciti dalla cantina di Toppole e sicuramente nella top five del millesimo per la denominazione. Sono fatti per essere bevuti in occasioni diverse, con ricette diverse, stati d’animo diversi, come saranno presumibilmente differenziate le rispettive finestre evolutive.
Villa Diamante - Fiano Congregazione '13
Il 2013 è un Vigna della Congregazione piuttosto “classico”, più vicino a versioni come la 2006 o la 2010 che non alla selvaggia e discussa 2012 senza fascetta (link). A voler spaccare il capello in quattro una leggerissima patina “natural” c’è anche qui, ma bastano pochi secondi per trovarla soppiantata da un florilegio di sensazioni luminose, ariose, balsamiche. Sono coloriture bianche e verdi, rese più profonde dagli accenti iodati ed agrumati, perfettamente restituite da una bocca dritta ma non certo algida, coinvolgente nella dimensione sapida, leggiadra nella beva. Un Congregazione che consiglierei quasi indistintamente a tutti, compresi gli amici che non amano di solito lo “stile Villa Diamante”, specie per come si manifesta nelle versioni più opulente (come la 2007 o 2011) e “castagnose” (come la 2002 o 2009).
Villa Diamante - Fiano Clos d'Haut '13
Per il Clos d’Haut vale per molti versi il ragionamento opposto: è il Fiano che stapperei a colpo sicuro con chi cerca nella tipologia soprattutto il carattere affumicato e torbato. Per capirci, compagni di bevuta che considerano come punti di riferimento della denominazione le interpretazioni di Luigi Sarno a Cantina del Barone o quelle di Guido Marsella, ma anche certe annate dell’Aipierti di Vadiaperti. La traccia “sponti” è più evidente fin dal primo impatto olfattivo e ha bisogno di più tempo e ossigeno per acquietarsi e liberare il frutto fragrante, gli apporti officinali, gli approfondimenti linfatici. Intendiamoci: è una sensazione riduttiva-minerale tremendamente affascinante, senza alcuna deriva “birrosa”, simile a quella più volte incontrata anche in blasonati Chablis e Mosella. Un ritmo aromatico tutt’altro che lineare, scandito coerentemente anche nel sorso materico quanto acuminato, ulteriormente imbizzarrito da una sapidità violenta. Il Vigna della Congregazione è sempre stato descritto come un Fiano “maschio”, ma questo lo è molto di più, se nel cliché ci facciamo rientrare un plus di vigore buccioso che prende la scena a discapito di una quota di finezza e misura. Senza intaccare minimamente la naturalezza di beva, terreno di gioco su cui finisce pari e patta la partita tra il Clos d’Haut e il fratello di collina.
Ecco perché è una coppia molto ben assortita, ecco perché lasciarli viaggiare insieme per almeno un decennio mi sembra il modo più bello e soddisfacente di ringraziare Antoine per il suo lavoro e per augurare il meglio a Diamante Renna e famiglia per quello che verrà. Se n’è andato veramente tra gli applausi, e ha saputo meritarseli tutti.

% Commenti (2)

[…] 6) Proprio la tenuta è quel che mi ha colpito maggiormente nella batteria degli otto campioni del 2002. A parte un paio di bottiglie più evolute delle altre, mi aspettavo fino a un certo punto nasi così appuntiti e definiti: non complessi magari, ma decisamente coinvolgenti nella veste citrina e “fluviale”. Vini perdipiù non propriamente magri o slavati, come era lecito attendersi, ma dotati di stoffa ed energia, perfino polpa nei migliori. Tenuta Ponte (tipicamente affumicato e proporzionato), Cantina dei Monaci (allegro ma solido di frutto ed energia salina), Colli di Lapio (molto francese, quasi un Vouvray sec nel gioco tra dolcezza e linfa citrina) e Pietracupa (decisamente montano nello scheletro sapido e nel vigore aromatico) hanno messo d’accordo tutti come poker ideale del millesimo, ciascuno nella sua declinazione stilistica. Non siamo stati fortunati, purtroppo, con l’ultima bottiglia che mi era rimasta del Vigna della Congregazione di Villa Diamante, a lungo assurto a simbolo della vendemmia 2002 in Irpinia. Fu per molti versi il vino che fece innamorare tanti appassionati, non solo campani, del lavoro portato avanti alle Toppole di Montefredane da Antoine Gaita, Diamante Renna e famiglia. E’ stata comunque una bella occasione per ricordare ancora una volta Antoine, scomparso nel gennaio del 2015: ci manca enormemente, ma – fuori da ogni retorica – resterà per sempre l’ispirazione fieramente artigianale che continua a vibrare a Villa Diamante (link). […]

[…] profondamente significative e comprensibili per rendere al meglio l’essenza del Clos d’Haut. Su Tipicamente, a firma Paolo De Cristofaro “…è una sensazione riduttiva-minerale tremendamente affascinante, […]

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