Nella così detta società moderna, più o meno tutti noi abbiamo a che fare con un numero esagerato di persone.
Certo non possiamo dire di conoscerle tutte: ci sono infiniti livelli di contatto, balli in maschera dettati dai ruoli, vere e proprie rappresentazioni e messe in scena di ogni genere. Il caso o chissà che ci porta a sfiorarne alcune, di cui a stento ricordiamo il nome, quando le incrociamo, e ad approfondire il rapporto con altre, entrando magari in intimità con la loro vera personalità.
Nella centrifuga social, reale e virtuale, in cui ci siamo ficcati, sono pochi quelli che possiamo dire di conoscere veramente, una volta tolta la giacchetta d’ordinanza.
Fino alla settimana scorsa avevo un’idea professionale di Giampiero Lubino, anche lui navigante nel mare del vino (sempre più mosso), incrociato in cento eventi, anteprime, cene con amici di amici.
Il pranzo di domenica mi ha fatto scoprire meglio la persona, spalancandomi le porte di uomo trasparente, assai piacevole e denso, dalle convinzioni che mi sono sembrate molto solide. Con la sua famiglia ed altri scapestrati amici, tra cui due loschi figuri rispondenti ai nomi di Francesco Guazzugli Marini e Paolo Baldelli, ho avuto la fortuna di condividere una tavola memorabile.
Una cosa frugale, poco impegnativa, che ci ha fatto dire basta alle 19.06. Sei ore abbondanti di sapori deliziosi, solidi e liquidi, chiacchiere piacevolissime e un’atmosfera sempre calda, amichevole nel senso più autentico del termine. In un contesto magnifico, per giunta, perché Giampiero vive in un minuscolo borgo del Chianti, Tregole, con Brancaia a un tiro di schioppo.
Non un pasto qualunque, ma piatti firmati da uno dei rarissimi cuochi meritevoli dei Tre Grembiuli, l’ambito riconoscimento che Baldelli conferisce alle migliori cucine di casa italiane. L’attesa era dunque altissima. Dovete sapere che Giampiero Lubino, nell’ambiente gastro – clandestino in cui mi onoro di sguazzare, ha la fama di preparare un piccione assoluto, strabiliante e in qualche modo definitivo.
Quel che ho scoperto, tuttavia, va molto oltre. Non solo il piccione, con la deliziosa quenelle di fegato e pistacchi, era fantastico (due tornate di assaggio, con bis alle ore 18 in punto), ma tutto il pranzo si è rivelato all’altezza delle aspettative, con dessert da strapparsi i capelli per quanto era buono.
I liquidi idroalcolici di varia natura hanno fatto il loro. Ai vertici, per distacco, il Mersault ’07 di J.F. Coche Dury e il sontuoso Monprivato ’03 Giuseppe Mascarello, in una versione davvero strepitosa.
Chiudo con un grazie grosso come una jeroboam per l’invito e uno spiffero ufficioso, che tuttavia pare avere ampie conferme nei corridoi frequentati dai soliti ben informati.
Giampiero stai sereno, Baldelli dovrebbe essere orientato a confermarti i Tre Grembiuli…