“Mi suggerisci qualche vino umbro che si beve?”. Un po’ battuta, un po’ richiesta disperata quella di un amico ristoratore che ha scelto, con successo, di servire solo prodotti della regione.
Vini compresi.
Passo indietro. Molti dei tentativi di questa terra e dei suoi eno-interpreti nella corsa alla qualità, che in maniera diffusa dura ormai da più di vent’anni, son passati e spesso passano per un modello ben preciso. Che andava per la maggiore, pareva di sicuro successo e più o meno alla portata. Tutti a cercare il vertice della piramide, il “grande” vino, quello capace di guadagnare punteggi, premi e cifre importanti.
Poi qualcosa è cambiato, anzi molto. Il totale era spesso inferiore alla somma degli addendi, il gusto si è affinato e le cose si sono complicate per tutti. Diciamolo via, il vertice è vertice anche perché è stretto. Non tutti riescono a piazzarsi lassù, per un sacco di motivi (buoni e cattivi).
Strategie e considerazioni di mercato a parte, il dato su cui soffermarsi è l’abbandono, o quantomeno un certo disinteresse, per i così detti vini quotidiani. Quelli che stappi e bevi spensierato, con una fetta di pane e salame o un piatto semplice. In osteria o a casa con gli amici, a temperatura di cantina e senza tanti cerimoniali, magari scansando pure il bicchiere a tulipano che tutti abbiamo imparato a roteare (pure troppo), per uno più familiare.
E allora? La buona notizia è che qualcosa si muove e che anche in questa regione le cose stanno cambiando, seppur timidamente. La ricerca d’equilibrio nei così detti top wines, inevitabilmente più strutturati e bisognosi di tempo, va a braccetto con quella di bottiglie meno impegnative ma non per questo banali.
Tra le varie mosse, quelle col ciliegiolo paiono godere di un certo credito e un buon numero di seguaci. La varietà ben si adatta all’idea, ha un passato interessante da queste parti e bla bla bla…
In zona Città della Pieve, in un crocevia di rara bellezza in odore di Lazio e Toscana, se ne produce una versione che al sottoscritto piace parecchio. Merito di Paolo Bolla che dal Veneto si è trasferito in quella terra di confine e ha messo su una piccolissima realtà da subito votata all’agricoltura biologica, alle varietà tradizionali e alla realizzazione di vini rilassati, gustosi, facili da bere ma affatto scontati.
Si chiama Fontesecca* e il suo Ciliegiolo rappresenta un prototipo a cui guarderei con attenzione. Ho (ri)bevuto il 2010 ed è una meraviglia. Scaltro, scattante, delizioso nei profumi di violetta e fragoline di bosco, capace di un sorso snello ma non scarno, chiuso da un’inezia tannica sassosa e terragna.
Un vino che si beve. E anche piuttosto alla svelta…