‘Benzina d’annata, dannata benzina’. C’è uno spot che passa alla radio in questi, ironizza sul costo del carburante e viene buono per introdurre la riflessione di giornata, alla vigilia dell’annuale pellegrinaggio in Borgogna
(beh, stavolta più una toccata e fuga), che impone un comportamento in linea col clima da spending review.
La questione, perfettamente rappresentata da Giampaolo Gravina in una delle tappe di presentazione del libro Vini e Terre di Borgogna*, scritto a quattro mani con Camillo Favaro, è quella delle tante ‘eccezioni’ di questa incredibile regione, che in molti casi si trasformano in possibilità, oltre che in chiavi di lettura possibili.
La Côte d’Or è un mito, su questo non ci piove. In quella terra albergano alcuni dei domaines più celebri, esclusivi e ricercati del mondo, capaci di vini leggendari che raggiungono ormai cifre da capogiro, onestamente fuori portata per la maggior parte delle tasche (sicuro per le mie).
Terra da cui stare alla larga, dunque? Vini da sfogliare sulle guide e le riviste di settore, adorati ma impossibili da avvicinare? Forse no, o almeno non del tutto. Se maneggiata con cura e una certa competenza, la zona può regalare soddisfazioni “alla portata”, spesso capaci, per giunta, di aprire finestre di rara autenticità, spalancando le porte eccitanti della scoperta.
Accanto ai miti, la Borgogna sa mostrare il suo volto più arcaico e contadino, fatto di una miriade di piccole cantine e altrettanti vignaioli, fieri custodi di una tradizione antichissima e interpreti autorevoli di finages e climat.
Non ci sono solo i Leroy e i Romanée-Conti, insomma, ma tanti piccoli produttori da conoscere. E se i primi finiscono sulle tavole più esclusive del mondo e nei ristoranti stellati, i secondi li scopri nei bistrot (di quelli che a Paragi sono frequentanti quasi esclusivamente dai parigini, che sanno come va il mondo…) o che magari puoi comprare direttamente in cantina, a prezzi ragionevoli. Vini da gastronomia, decisamente gourmand, a volte un filo rustici, almeno se paragonati ai mostri sacri di cui sopra, ma di inarrivabile fascino artigiano.
L’altra sera a cena, tra un paio di villages azzeccati (tra cui un mio vino del cuore, il semplice Bourgogne Blanc di Michel Bouzerot), ecco spuntare un perfetto rappresentante della categoria: Il Savigny-lés-Beaune Les Lavieres 2010 di Catherine et Claude Maréchal.
Piccola cantina di Bligny, i nostri si trovano in una zona un po’ fuori rotta, che va cercata, e allevano vigne in alcune appellation poco note al grande pubblico. Tra i tanti villages della casa, il nostro Savigny è l’unico Premier Cru. A me è parso vino buonissimo e soprattutto gustoso, dai toni scarichi mai eccessivamente ossuti, anzi con un deciso surplus di aroma nei richiami animali e lievemente speziati, di uva spina, fragoline e lamponi. Dal gustoso tratto verticale, mai troppo rustico però, capace di mostrare un affascinante quadro d’insieme che non trascura il dettaglio.
PS: Se questo post vi ha ricordato la favola della volpe e dell’uva, sappiate che è tra le preferite del direttore della mia banca…
Foto: Anna Setteposte